Amori che ispirano l’arte o che ne sono ispirati. Ricordiamo quella Tilde (di cui non conosciamo il cognome) che al passaggio sotto i portici colpì talmente il pittore Giacomo Grosso con la sua avvenenza di sedici anni, da indurlo a seguirla ed anche importunarla pur di averla come modella per “La nuda” (monumentale opera ora esposta alla GAM di Torino) mentre Frusta le dedicava poesie in gran copia.
Ora avvenne che un giorno Pare [Arrigo Frusta] entrasse al Circolo degli Artisti e vi trovasse un gruppo d’amici, raccolti d’intorno al pittore Giacomo Grosso. Ridevano, schiamazzavano, applaudivano a gran voce, facevano un casa del diavolo. E il celebre pittore con un quaderno in mano declamava delle poesie. Era il quaderno di Tilde, ed erano i settantacinque sonetti di Pare. Il quale rimase molto male e se la legò al dito. Ma Tilde non ne poteva proprio nulla; perché Grosso le aveva portato via il quaderno di nascosto.
Non sappiamo come i due abbiano risolto l’incidente al Circolo degli artisti; sappiamo invece che Frusta non ebbe mai problemi con il suo diretto rivale in amore.
Quando acquistò il diritto di sedersi sul famoso canapè Luigi XV, Tilde abitava un grazioso mezzanino di tre stanze: camera, salotto e cucina, in via San Massimo. Gliel’aveva messo su l’amico d’oltre Po, il quale non era poi troppo esigente. E quel ménage a tre filava ch’era un piacere, senza scosse, senza incidenti. Ho raccontato, o, se non l’ho ancora fatto, lo racconto adesso, che Tilde o non amava o, se amava, lo faceva furiosamente. Una sera d’estate che Pare voleva tornare a casa e lei non voleva che andasse via, non trovò mezzo migliore che scaraventar fuori dalla finestra in istrada la giacca e i calzoni, che Pare, certo a motivo del caldo, s’era tolti…Per fortuna nessuno passò a quell’ora e Pare potè correre a raccogliere la sua roba.
Se si volesse fare del gossip tra i due celebrati poeti che vissero un breve idillio, ci sarebbe solo da andare a pescare nelle loro raccolte le poesie “allusive” sospette di riflettere un che di autobiografico . Così è per Il buon compagno, (raccolta ne I Colloqui, Treves, Milano, 1911) poesia di Gozzano ideata nel 1907 col titolo di Cattiva sorella, e dedicata ad Amalia; poesia che sembra far capire che qualcosa l’abbiano fatto insieme, e più di un bacio. Ma il rapporto tra Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti è già fin troppo noto perché noi si possa sperare di raccontarne qualcosa di nuovo. E’ un filo di poesia che lega le Langhe e il Canavese, teso tra Cravanzana e Agliè, tra Le seduzioni e I Colloqui.
In particolare, ne Le seduzioni una poesia sembra proprio ispirata al Poeta del Meleto:
Bevvi a piccoli sorsi la menzogna,
come un filtro che induce fantasie
fascinatrici al cuore di chi sogna.
In ogni cosa io scoprii malie
Nuove. Talvolta perseguii la traccia
Di un dolce incanto per malcerte vie.
Non riguardai l’ingannatore in faccia,
per non tremar di oscura diffidenza
nell’amoroso cerchio di sue braccia.
Quegli blandiva: - Niuna sapienza
Che insegni vale un bel gioco che finga.
E mi versava in cuore una sua essenza
Fatta d’ombra, d’amore e di lusinga.
Tratta da: [Amalia Guglielminetti, Le seduzioni- Le vergini folli, S.Lattes &C., Librai-Editori- Torino-Genova, con prefazione di G.A. Borgese].
Il giovanissimo Nino Oxilia, tormentato dalle incertezze e dagli sbalzi di umore propri dell’adolescenza, nonché da un dualismo che lo rende malinconico quand’è solo e sfrenatamente allegro in compagnia, capace di scatenarsi e ballare anche tutta la notte, così si confida con l’amico Ernesto:
Preferirei un piovere infinito od una nebbia profonda: mi parrebbe che la natura sentisse come l’anima mia. Vuoi che io ti parli di me e di dove vado a ballare? Due martedì fa sono stato a casa tua dove ho ballato come un pazzo ed ove ho trovato la sig.na Nina (e qui avrei bisogno della tua parola che mi dicesse che sono una banderuola) tutti i venerdì vado in casa de Ferrari, tutti i sabato alla Sala Vogliazzo, il giovedì qualche volta vado a casa tua.
Questa misteriosa Nina la ritroviamo nella poesia In chiesa, del 25 marzo 1905, dalla quale apprendiamo che il sedicenne Oxilia s’impegna, durante la messa, a lanciare occhiate alla sua bella fantasticando d’amore fino ad avere gli occhi colmi di pianto; c’è anche un accenno al ballo già confidato ad Ernesto:
La sera nel danzare
Io ti ò guardata in volto
Né dal mio cuor ti ò tolto
Nina più mai da allora.
Nei Primi versi vi è anche una poesia dedicata ad Emilia Rava, compagna di classe che dava ripetizioni di matematica e non mancano dediche ad una ancora più misteriosa R.I. di cui non si conosce neppure il nome.
Nei Canti brevi, invece, Oxilia muta radicalmente registro; d’altronde sono trascorsi quattro anni, il poeta ne ha venti, siamo nel 1909, l’anno de Il Commiato.
Dalla poesia n. 5 veniamo a conoscenza di un’amante dai toni baudelariani che avvince il lettore a scivolare sui versi rapidamente, con un desiderio crescente: e se era intento del poeta rendere partecipi del suo piacere, si può dire che vi sia riuscito. Ne riporto solo una quartina:
Sei come un serpe. Cerchiato
è l’occhio. Ti snodi, ti allacci,
ti avvinghi su me, poi mi abbracci,
mi chiedi l’eterno peccato.
Chi ha lettoCome si seducono le donne di F.T. Marinetti sa che nel 1901 il venticinquenne poeta, ancora ben lontano dal Futurismo, approdò a Torino in un salotto molto chic in cui conobbe i celebrati e scapigliati Arrigo Boito e Giuseppe Giacosa, e in cui s’innamorò perdutamente della padrona di casa, che lo fece letteralmente impazzire…d’amore folle e di gelosia. Ma per trovare tracce del grande amore con Térésah (i cui risvolti letterari sono stati rivelati da Claudia Salaris), occorre andare a prendere la poesia pura.
Térésah (alias Corinna Ubertis), nata a Frassineto da genitori piemontesi, nel 1903 aveva pubblicato a Torino una raccolta di poesie, Nova lirica, cui seguì un libro di racconti per ragazzi, I racconti di Sorella Orsetta del 1910 e numerose altre pubblicazioni di vario genere: romanzi, poesie, novelle, racconti per l’infanzia. Era collaboratrice de La Donna in modo continuativo e Luciana Frassati la onora riproducendone una fotografia-ritratto tra le grandi donne letterate di Torino belle-epoque, con Amalia Guglielminetti, Carola Prosperi, Carolina Invernizio, Paola Carrara-Lombroso, Daisy di Carpeneto, Rina Maria Pierazzi, Maria di Borio, Luigi di San Giusto.
Nel 1912 Marinetti edita in Francia Le Monoplan du Pape, che si inserisce nel clima di esaltazioni patriottiche alimentato dalle celebrazioni per il cinquantenario dell’unità d’Italia. La traduzione italiana apparirà più tardi a scopo propagandistico con la data 1914 e il sottotitolo mutato in “romanzo profetico in versi liberi” dato che nel libro viene previsto il conflitto tra Italia e Austria.
A proposito di quest’opera Marinetti scrive a Palazzeschi: “[…] Scrivimi se hai riconosciuto nel canto Coté à coté avec la Lune la dolcissima e ormai lontana amica che conosci anche tu e che ora sta per sposarsi…Ti dico ciò con una invincibile malinconia”.
L’amica in questione è Térésah, che stava per impalmare lo scrittore e uomo politico Ezio Maria Gray.
fra le tue mani graziose, appetitose,
he sembrano da mangiare, da bere, da suggere,
frutti e fiori dei paradisi d’una volta,
giocattoli, dolci squisiti,
per la mia bocca infantile, merende divine
di tutte le belle domeniche
non ancora abolite dal mio cuore futurista!...
[Questa e la precedente citazione della lettera a Palazzeschi sono tratte da: Claudia Salaris, Marinetti-Arte e vita futurista, Editori Riuniti, Roma, 1997].
In ambito artistico, ai primi del ‘900 Domenico Buratti e la futura moglie Vittoria Cocito, entrambi pittori:
“Reviglione gli nominava spesso la pittrice Vittoria Cocito, allieva di Cesare Ferro. Fu poi lo scultore Fantoni a condurlo nello studio della mamma, in piazza Statuto, dove avvenivano settimanalmente incontri con altri artisti, anche provenienti da Roma e da Firenze. Da quel momento il suo punto di riferimento divenne lo studio di Vittoria Cocito e i dibattiti sull’arte che qui si svolgevano. […] Il giorno di Natale del 1913 la mamma organizzò una favolosa festa nel suo studio e in quell’occasione fece dono a mio padre di una collana di bacche di rosa, che si ritrova citata in una poesia del ’15. Bacche rosse non ce n’è più. Vedi anche tu Vittoria come sia necessario infilare iridescenti espressioni di colori ad un filo ininterrotto di sogni.”
[Patrizia Deabate, Buratti. Realtà, sogni, scritture pittoriche di un artista torinese, intervista a Gabriella Buratti, in Il Corriere di Alba Bra Langhe e Roero, 31.03.2003].
L’amore che si consumò, nell’estate del 1910, tra Sandro Camasio e Dorina Ronga alla villa “Pacioretta” di Nizza Monferrato, è rimasto, oltre che in Addio, giovinezza! anche in Faville (Lattes, Torino, 1921):
E nella frescura azzurrognola delle sale la sua voce animava tutto, in un’eco argentina sotto le volte sonore, cacciando la malinconia, sollevando un tintinnio armonico di cristalli, irrompendo con la gran luce della giovinezza e della allegria…
Nel racconto Povero Teo!, un Mario e una Dorina residenti a Casalotto (borgo realmente esistente, poco lontano da Nizza) tutti i giorni in segreto vanno a trovare il cagnolino che dà in nome al racconto, e che hanno nascosto in una cascina abbandonata per salvarlo dalle persecuzioni del sindaco, e in quelle quotidiane passeggiate a due…
Vien quasi da pensare che in qualche modo il racconto ricalchi avventurosi stratagemmi attuati nella realtà per incontrarsi, sulla collina sovrastante Nizza, tra Villa Pacioretta e il Tuetto, dimora in cui villeggiava Dorina Ronga.
E sull’incanto del luogo, non c’è da dubitare:
Il viale dei sospiri. Quanti ricordi in tante generazioni di nicesi. Amori sbocciati sotto i platani centenari. Amori finiti percorrendo un viale che sembrava tanto triste. Tanti cuori incisi sulle piante e tanti cuori infranti. E poi la storia di Nino Oxilia e Sandro Camasio, giovani poeti, che all’inizio del novecento raccontavano di amori romantici tra studenti universitari. Ed ancora, Addio Giovinezza l’operetta che tanto entusiasmò i nostri padri, scritta da loro sotto quelle piante della Pacioretta [Renzo Pero, in Armanòch ed “L’èrca”, Associazione di Cultura Nicese “L’Erca”, Nizza Monferrato, 2004].
Camasio avrebbe poi diviso il personaggio dell’amata in due, in Addio, giovinezza!, chiamando Dorina la sartina ed Elena la donna raffinata, che lo lascia, la vera Ronga.
Anche Oxilia, in quell’estate nicese, non è insensibile alle lusinghe dell’amore:
[…] Nizza Monferrato. E’ questa la città di provincia per eccellenza, la città dove vivono tante “signorina Felicita” per il canto di Guido Gozzano, dove dorme, forse nascosta in qualche cespuglio, la “Felicità”.
Ma poi fa capolino la goliardia:
Il suo nome [Nizza Monferrato] sembra formato dal canto di una donna e dalla risata di un ubbriaco uniti insieme, e dà l’impressione di un fascio di rose bianche in una tinozza di vino…
[Tratto da: Nino Oxilia, Maggiolata, pubblicato su Il Momento 7 maggio 1911, 125, in Un tempo una città (a cura di F.Monetti), Centro Studi Piemontesi, Torino, 1983]
(Forse Oxilia si fece trascinare un po’ troppo dalle delizie della Barbera locale? Eccesso di bagordi alla Pacioretta? Chissà quali furono i malesseri di cui scrive Camasio a Cazzola…ma qui sconfiniamo nel romanzo, che ognuno può scrivere da sé con la fantasia per colmare i vuoti di una storia di cui non potremo mai soddisfare tutte le curiosità).
L’espressione “fare all’amore” ai tempi di Camasio e Oxilia, ma anche prima, come testimonia Arrigo Frusta nel suo Tempi Beati (precedente Addio, giovinezza! di una quindicina d’anni), non aveva lo stesso significato che ha oggi. Infatti voleva dire, genericamente, (a quanto possiamo intuire dal contesto), “essere fidanzato/a”.
In Addio, giovinezza! Mario chiede a Dorina:
“Prima di me, con chi hai fatto all’amore?”
Ritroviamo la stessa espressione in tempi più recenti (secondo dopoguerra) anche in Beppe Fenoglio, che nel racconto Ettore va al lavoro:
[…] le faceva un po’ d’amore come a una ragazza, le carezzava il collo e le sfiorava i capelli con la bocca.
In Addio, giovinezza! ricorrono, poi, alcune espressioni che sono attualissime ancor oggi, e che evidentemente si sono tramandate di generazione in generazione, o meglio, di giovinezza in giovinezza, come:
(Gli amici entrano nella stanza dove sono Mario e Dorina)
LEONE Ehi! Che vi dicevo? Mario studia anatomia dal vero…
(Atto primo, Scena terza)
Durante la “battaglia dei fiori”, Emma lancia un insulto che suona così:
EMMA: Reggi lume!
(All’amico che non ha l’innamorata. Noi oggi si dice “reggere la candela” il che è quasi lo stesso).
(Atto primo, Scena sesta)
Per quanto riguarda questioni amorose più spinte (sulle quali Addio, giovinezza! non si sofferma) riceviamo illuminazioni sulla nomenclatura sessuale dei tempi dal senatore, medico e scienziato Paolo Mantegazza, nel suo L’igiene dell’amore del 1885.
Mentre di Guido Gozzano non si può non citare uno stralcio di lettera che, oltre ad esprimere l’essenza della poesia come da lui intesa, e quindi ad assurgere quasi a definizione della Poesia Crepuscolare, è un festival di oscenità:
C’è insomma sempre in Gozzano questo senso di responsabilità professionale dello scrivere; ma c’è anche la coscienza non indolore della precarietà, quasi dell’inutilità, del proprio mestiere: “Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo”.
La letteratura […] come un atto di piacere, condannato tuttavia alla sterilità. E non scriveva Gozzano, con una metafora scanzonata, del piacere provato alla lettura di Un giorno, appunto come del “piacere di vedere uscire dal boudoir, vestita da passeggio, una puttana, con la quale hai poco prima fatto quattro fatture e quattro sessantanove”?
[Tratto da: Giorgio De Rienzo, Guido Gozzano, vita breve di un rispettabile bugiardo, Rizzoli, Milano, 1993].
Ritrovi goliardici. Gruppi di amicizie e amori artistico-letterari in Torino belle epoque. download
-Patrizia Deabate - info@giovinezza900.it - www.giovinezza900.it - progetto web: Stefania Di Palma & Serena Bosca ®2010-